Blog Montanaro

Lasciamo che i rifugi restino rifugi

Nei giorni scorsi, per preparare le pagine di questo sito relative ad alcuni trekking ed escursioni, sono andato a cercare gli indirizzi web di alcuni rifugi coinvolti negli itinerari, curiosando sulle varie home page ho notato che una delle parole più ricorrenti è “eventi”, quasi tutti i rifugi hanno una sezione dedicata agli eventi, e non ha importanza se il rifugio è uno di quelli facilmente raggiungibili, magari addirittura in auto, o un vero e proprio nido dell’aquila, gli eventi si moltiplicano.

Onestamente riconosco che molti di questi eventi coinvolgono piccole librerie d’alta quota, scambio di libri, incontri con alpinisti, mostre fotografiche, gite guidate e altre iniziative lodevoli, però questa parola “eventi” continua a suonare un po’ stonata.

Forse a complicare il tutto ci si mette il mio essere milanese, e la facilità con cui io associo la parola eventi, ad apertivi pseudo intellettuali, mostre di arte equo solidale sociale sostenibile rinnovabile, con l’artista che si presenta però in mercedes, e tutta una serie di feste, incontri, vernissage dove la parola d’ordine è sembrare ciò che non si è davvero.

I rifugi hanno davvero bisogno di questo? È vero che il turismo si montagna negli ultimi anni sta cambiando profondamente, ma una volta l’evento era semplicemente stare in rifugio!

Arrivare nel pomeriggio e incontrare persone, escursionisti, alpinisti, caciaroni, buone forchette e al resto pensava un bicchiere di vino e tutti ci si dava del tu, dirigenti, squattrinati, avvocati e operai.

Nessuno sentiva il bisogno di essere guidato all’interno di un evento, proprio perché in rifugio si cercava quella diversità di socializzazione che altrove non si trovava!

L’inossidabile Mauro Corona parla di “montagna firmata” per definire la tendenza a replicare in montagna divertimenti, abitudini e servizi tipici delle città e credo che anche questi rifugi con il calendario degli eventi risultino un po’ troppo “firmati”.

Sarò nostalgico, sarò vecchio, ma per me l’evento è essere in rifugio, chiacchierare con sconosciuti di sentieri, passaggi su roccia, materiali e vie di salita. Scrutare per un ultima volta il cielo prima di andare a dormire e dire sempre la stessa frase “si si, non si vedono le stelle ma non sono nuvole…..è la condensa della sera”

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Il sentiero Bonatti non rende giustizia al suo nome

Walter Bonatti è un gigante dell’alpinismo, il mio rispetto e la mia stima verso di lui sono pressochè infinite, quindi non mi dilungherò ora a tessere le sue lodi, vorrei invece parlare di un’occasione mancata ovvero del sentiero che gli hanno dedicato a tre anni dalla sua scomparsa.

Nell’agosto del 2014 viene ufficialmente inaugurato il sentiero Bonatti, una sorta di traversata che collega l’abitato di Dubino in Valtellina con i Bagni di Masino in val Masino, punto di sosta, il bivacco Primalpia.

Già dal punto di vista dello sviluppo geografico si nota che il percorso è decisamente forzato e non rappresenta una normale traversata da una valle ad un'altra, specialmente nella tappa del primo giorno che si snoda su un lunghissimo saliscendi davvero inusuale come prima tappa di una traversata o di un’altavia. E forse è proprio la prima tappa il punto più debole di questo sentiero, da Dubino si risale la cresta che porta verso il Monte Brusada, ma in località Pizzo Culmine (circa 360 mdd prima della cima) si piega verso Nord, si traversa sotto il Brusada e poi si inizia una ripida discesa che porta fino ai boschi della val dei Ratti, da quel punto riprende una lunga salita fino al bivacco Primalpia. Tradotto in numeri si tratta di 15,6 km di lunghezza e di 2400 folli metri di dislivello in salita, senza neppure mettere piede su una cima!

Il giorno successivo ci si muove in uno scenario differente, si passa sotto il monte Spluga, si toccano i 2600 metri di quota respirando finalmente aria di alta montagna e ci si avvia al rifugio Omio da cui si scende ai Bagni di Masino con un dislivello complessivo di 750 metri circa, molto più contenuto e accettabile.

A questo punto il sentiero Bonatti è finito è onestamente senza grossi punti di forza e senza neppure una cima vera e propria, anche se ci si è mossi, specialmente il secondo giorno, attraverso panorami e scenari davvero imponenti.

Considerando che buona parte dell’itinerario corrisponde al sentiero Life non si può neppure parlare di grande originalità nella scelta del percorso.

Se ora mettiamo assieme tutti gli elementi a parere mio negativi, l’assenza di una cima, la brevità del percorso, il grandissimo dislivello e la poca originalità, credo che sarebbe stato meglio fare una traversata dalla valle dei Ratti alla Val Codera. Ci sono diversi rifugi e bivacchi quindi si potevano ipotizzare diverse varianti, tra cui la possibilità, per i più esperti, di salire sul Pizzo Ligoncio. Certo non sarebbe il massimo dell’originalità, ma almeno avrebbe un senso geografico molto più definito.

È un peccato aver sprecato in questo modo un’occasione così importante, forse un grandissimo come Bonatti avrebbe meritato un po più di attenzione!

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perchè l'impresa sulla dawn wall è così importante

L’impresa di Caldwell e Jorgeson sulla Dawn Wall è un risultato che va molto al di là dell’exploit alpinistico.

Ci sono molti fattori che rendono questa scalata memorabile e la testimonianza è il risalto mediatico che è nato intorno a questa salita anche da parte di giornali e canali televisivi generalisti che hanno seguito tiro dopo tiro la faticosa ascesa dei due climber americani.

Finalmente si torna a parlare di impresa alpinistica, una salita di difficoltà elevatissima che conduce sulla cima di qualche cosa, anche se si tratta solo di un altopiano, e non di un singolo tiro difficilissimo per salire un sasso altro 4 metri!

Altro dettaglio importantissimo è la preparazione della scalata, ci sono voluti ben 6 anni per mettere a punto una strategia vincente, sei anni in cui la parete è stata studiata, verificata e saggiata anche con diverse condizione metereologiche e di temperatura, onestamente non so quante scalate oggi nell’epoca delle salite “a vista” o “flash” possono vantare una preparazione simile.

Ma perché questi aspetti sono così importanti? Perché finalmente si torna a respirare un’aria di alpinismo classico, fato di studio, di lunghe salite e di sacrifici, tutte cose che ci fanno sognare anche solo per un istante di essere stati testimoni di un impresa degna della famosa “epoca d’oro dell’alpinismo”, proprio quando cominciavamo ad avere paura che tutto fosse ormai ridotto al singolo tiro, al singolo movimento, al gesto atletico fino a stesso, Caldwell e Jorgenson ci hanno ricordato cos’è l’alpinismo

A loro i miei più sinceri complimenti

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