Emilio Comici, l'esteta del VI° grado

A cavallo tra gli agli anni trenta e quaranta rappresentò, assieme ad altri alpinisti (tra cui Riccardo Cassin, Raffaele Carlesso, Alvise Andrich) la risposta italiana alle importanti realizzazioni degli alpinisti tedeschi nell'epoca del "sesto grado" (al tempo il massimo grado di difficoltà alpinistica ritenuta umanamente superabile).

Figlio di Antonio e di Regina Cartago inizia l'attività alpinistica dopo un decennio dedicato alla speleologia proseguendo così la tradizione triestina (Napoleone Cozzi, Julius Kugy) ed effettua le prime esperienze nelle vicine Alpi Giulie.

Nel 1932 decide di dedicarsi interamente alla montagna e si trasferisce a Misurina, frazione di Auronzo di Cadore, intraprendendo la professione di guida alpina e successivamente (dal 1939) a Selva di Val Gardena ove viene anche nominato commissario prefettizio.

Muore per un banale incidente (la rottura di un cordino di cui stava provando la tenuta) sporgendosi da una cengianella palestra di roccia di Vallunga. Per lungo tempo le esatte circostanze vengono sottaciute dalle autorità fasciste, che non vogliono gettare ombre sulla insigne figura di Comici.

Tommaso Giorgi, testimone oculare dell’incidente, a distanza di anni rende queste testimonianza:

Era un sabato, si era in compagnia, riuscimmo a convincere Comici a venire con noi. Il programma era di andare a prendere la chitarra e di trovare un prato dove mettersi a cantare e suonare. Ci dirigemmo allora verso la Vallunga dove c'era la parete frequentata abitualmente da istruttori e allievi della scuola di roccia. Poi decidemmo di arrampicare. La compagnia era composta da me, dal dottor Carlo Fissore, medico comunale, da Gianni Mohor, giovane guida alpinistica e dalla mia futura cognata, Lina Demetz. Si decise di dividere il gruppo in due cordate: la prima composta da me, il medico e la guida; l'altra, da Comici e Lina Demetz. Mentre loro due avrebbero dovuto aspettarci su una cengia percorrendo un sentiero, noi avremmo dovuto salire la parete. Ad un certo punto, non vedendoci arrivare, Comici decise di vedere che cosa stavamo combinando: prese un cordino che aveva legato attorno alla vita, l'assicurò a una cengetta che si trovava poco più sopra e sì lascio cadere nel vuoto. Il cordino si spezzò, sentii l'urlo della Demetz e volgendomi verso la valle vidi Comici, andare giù di piatto, senza muoversi, senza gridare. Precipitato sul prato sottostante, si rialzò di scatto, quasi fosse una palla, facendomi tirare un sospiro di sollievo. Un istante dopo però ricadde di nuovo a terra, questa volta senza più rialzarsi. Fissore scese rapidamente dalla parete e chiamò aiuto sparando un colpo di fucile (intendeva poi andare a caccia). Sul posto si precipitarono la guida Antonio Mussner e un suo amico. Io, tremante, ero rimasto incrodato in parete e fu da là che sentii il medico dire che non c'era più niente da fare. Un sasso, uno dei pochi in quel prato verde, gli aveva fracassato la testa, uccidendolo”.

Oltre che per le doti di scalatore Comici viene ricordato anche per una concezione estetica dell'arrampicata percepita come un momento ove, attraverso un movimento armonioso, è possibile esprimersi. Scrisse il libro Alpinismo eroico, la cui retorica risente piuttosto chiaramente del momento storico.

 

La grandezza di Comici sta non tanto nel gran numero delle vie percorse e aperte, ma nella purezza dello stile e nella ricerca della linea estetica ideale, quella della "goccia che cade": egli andava sotto la verticale di una cima e tirava su diritto. Famosissima la straordinaria salita solitaria e senza corde della sua stessa via sulla Nord della Cima Grande di Lavaredo nel 1937, exploit fra i più grandi di tutta la storia dell’alpinismo.